Salento, lu sule, lu mare lu jentu e… lu frantoio ipogeo.
Mare, arte e cultura ci fanno immediatamente pensare alle bellezze del Salento, ma anche sottoterra questa splendida terra custodisce dei tesori inestimabili.
La coltivazione degli ulivi fa parte del paesaggio del Salento, tanto da esserne diventata uno dei suoi simboli. La Puglia è infatti ancora oggi una delle regioni che producono più olio in Europa, con alberi millenari ancora presenti sul territorio. Ma il frutto pregiato degli ulivi, prima di diventare l’oro verde che dà gusto alle nostre pietanze, deve passare attraverso un lungo processo di lavorazione. Oggi ciò avviene in impianti moderni e spesso automatizzati, un tempo invece bisognava procedere con grandi sforzi di lavoro manuale.
Dall’XI secolo, abitanti del Salento svolgevano questo processo costruendo delle cavità sotterranee. Ciò ha permesso loro di proteggere il prezioso olio da malintenzionati, ma anche di facilitare la conservazione del prodotto, al riparo dalla luce solare e a temperature più contenute rispetto all’esterno.
Di questi frantoi ipogei, spesso chiamati anche miniere d’oro verde o in dialetto salentino trappiti (dal latino “trapetum” che significa appunto frantoio), ne esistono un centinaio in tutto il Salento e alcuni di essi sono oggi visitabili.
I frantoi venivano scavati nel tufo tipico della zona a pochi metri sottoterra, spesso sulle rovine dei granai di età messapica, e vi si accedeva attraverso una scala. Le olive venivano versate direttamente dal foro posto sulla sommità.
I lavoratori dei frantoi ipogei venivano chiamati trappitari e da novembre a maggio lavoravano nei trappiti che diventavano la loro momentanea abitazione. Per questo erano presenti, oltre al grande vano dove era montato il torchio per la molitura, ambienti destinati alle cucine, ai dormitori e alle stalle per gli animali.
I lavoratori, probabilmente perché erano pescatori rimasti a terra, venivano chiamati ciurma e il loro capo veniva chiamato nachiru. Leggende locali narrano che gli operai non erano gli unici abitanti di questi luoghi. I trappiti erano infatti popolati anche da buffi folletti, chiamati uri, che si attivavano solo nelle ore notturne.
Negli ultimi anni i trappiti, luoghi inconsueti e quasi mistici, sono stati riscoperti, restaurati e aperti al pubblico. Talvolta però, per visitarli, è necessario rivolgersi alle Pro Loco o, in rari casi, a privati.
Uno dei più celebri frantoi ipogei è quello di Gallipoli, sotto Palazzo Granafei, risalente al 1600. Anche il piccolo borgo di Presicce, tra i borghi più belli d’Italia, nasconde una decina di frantoi ipogei nel centro storico. Altri trappiti sono visitabili a Morciano di Leuca, a Sternatia, a Vernole, a Calimera, a Martignano, presso l’Abbazia di Santa Maria a Cerrate e a Minervino.
Che aspetti allora? Vieni in Salento e visita questi splendidi esempi di archeologia industriale.
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