Nel centro storico di Lecce, la presenza delle tracce ebraiche è evidente in diversi siti. Già nel 1400, nel piano interrato del Palazzo Taurino-Personè, si trovava la casa degli ebrei, ovvero la Sinagoga.
Nonostante gli ebrei non fossero numerosi in città, la loro presenza era comunque significativa. In particolare, si riunivano spesso per meditare in piazza Sant’Oronzo. Grazie anche al loro contributo, il commercio di vino, olio d’oliva, grano e dell’olio speciale prodotto a Gallipoli (noto come “olio lampante”) prosperava in città. Quest’ultimo era utile sia per la produzione di candele che, in seguito, per l’illuminazione dei primi fanali nelle grandi città.
La piazza d’Armi del Castello Carlo V è un altro luogo della città un tempo abitato dagli ebrei. In questo castello, edificato nel Medioevo e più volte ristrutturato in seguito, nel 1495 gli ebrei si rifugiarono per sfuggire alla rivolta dei cristiani. All’epoca il castello diventò quindi un vero e proprio rifugio per la comunità ebraica.
Le testimonianze del passato ebraico sono molto visibili nelle prigioni del castello, dove ancora oggi si leggono alcune scritte in ebraico. Una scritta, di soltanto 3 parole, fu impressa sulla pietra tufacea per ricordare l’appartenenza alla religione ebraica. Accanto a questi segni, sono evidenti anche gli stemmi di alcune famiglie nobili e alcune lamentazioni in italiano volgare.
Come anticipato, a Piazza Sant’Oronzo la comunità ebraica si dedicava alla meditazione e al commercio. Tuttavia questo posto non era l’attuale piazza intitolata al Vescovo Patrono, ma la zona confinante occupata dall’Anfiteatro Romano. La piazza, al di là della quale c’erano le case degli ebrei, infatti era popolata dalle botteghe degli artigiani.
La Giudecca, il quartiere un tempo popolato dalla comunità ebraica di Lecce, tra la quarta Porta della città e la zona intorno a Santa Croce e al convento dei Padri Celestini, non fu mai ritenuto un vero ghetto. Ricordano il passato il Museo Ebraico, via Abramo Balmes (in onore dello spagnolo Abramo), vico della Saponea, chiamato così perché qui veniva prodotto il sapone, e via della Sinagoga.
La Sinagoga però si trovava nel Museo Ebraico e non lungo la strada. Nel tempo, in questo luogo di culto, sono state rinvenute alcune vasche con delle scritte in ebraico.
Oggi a Palazzo Taurino-Personè della Sinagoga sono rimaste solo alcune tracce, ma molto interessanti.
Insieme ai giudei, la stragrande maggioranza originaria dei Paesi dell’est e della Catalogna, convivevano milanesi, fiorentini, ragusani, veneziani, albanesi e greci. Già a quei tempi, la città di Lecce era quindi multietnica.
Dal 1541, però, in seguito a un editto regio, gli ebrei furono cacciati via dai territori del Regno di Napoli e, dunque, anche dalla città pugliese. Nel frattempo, diversi ebrei, per risolvere le controversie con la popolazione locale, si convertirono al cristianesimo.
Tuttavia, l’espulsione degli ebrei dalla città era nell’aria già da tempo. La popolazione locale dimostrava spesso insofferenza nei loro confronti e alla fine del Quattrocento una grande sommossa costrinse gli ebrei a rifugiarsi nel castello. All’interno delle mura della fortezza gli ebrei trovarono la protezione dei notabili, ai quali pagavano i tributi. I leccesi presero comunque d’assalto la Sinagoga e distrussero dei paramenti sacri e gli arredi. Inoltre, costrinsero il vescovo Antonio III Tolomei a sconsacrare il luogo di culto ebraico, per trasformarlo in una chiesa in onore di Maria Santissima dell’Annunziata.
La popolazione miserabile e povera dimostrava il suo astio verso gli ebrei con manifestazioni e sommosse. La Chiesa, invece, per dimostrare la superiorità sulla comunità ebraica straniera, usò altri stratagemmi. In tale logica, va inquadrata l’imponente Croce fiorita in bella mostra sulla Basilica di Santa Croce. Il sontuoso edificio di culto cristiano fu realizzato proprio vicino alla Sinagoga, per dimostrare appunto la superiorità del cristianesimo sulle altre religioni.
La supremazia della religione cristiana si manifestava però anche con comportamenti discutibili e poco leciti. Benedetta, una delle figlie dello spagnolo Abramo Balmes, fu infatti vittima di un brutto episodio. La donna, nel corso della rivolta del 1495, consegnò i suoi gioielli a un cristiano titolato, che alla fine della sommossa non restituì più nulla. Per ammissione dello stesso cristiano, i gioielli della figlia di Abramo furono trattenuti in parte da lui e in parte distribuiti ai rivoltosi.
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